Judo

Ideogrammi "ju" e "do""Il judo ha la natura dell'acqua. L'acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato. Non ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene. È indomabile e penetra ovunque. È permanente ed eterna come lo spazio e il tempo. Invisibile allo stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra. Solidificata in un ghiacciaio ha la durezza della roccia. Rende innumerevoli servigi e la sua utilità non ha limiti. Eccola, turbinante nelle cascate del Niagara, calma nella superficie di un lago, minacciosa in un torrente o dissetante in una fresca sorgente scoperta in un giorno d'estate."

Gunji Koizumi, 8° dan (1886-1964)

Il nome di questa filosofia, arte marziale e disciplina sportiva deriva dalle parole giapponesi "ju", che significa gentile, flessibile, adattabile, cedevole, e "do" cioè via, strada, percorso.

Cenni storici

Jigoro Kano, ideatore del judo, nacque il 28 ottobre 1860 nella piccola città costiera giapponese di Migake, vicino a Kobe, terzo di cinque figli in una famiglia di mercanti discendenti di un modesto clan di samurai (classe nobile di guerrieri). Erano gli ultimi anni del periodo Edo, che per più di due secoli aveva garantito, in un contesto feudale, prosperità e potere ai samurai. Nel 1868 ebbe inizio il periodo Meiji, o periodo moderno del Giappone, e con esso una progressiva occidentalizzazione del paese, che portò con sé un programma di educazione di massa nonché la fine dei privilegi dei samurai (legati alla precedente struttura di potere) e la perdita delle sovvenzioni alle scuole di arti marziali, cadute in disgrazia in quanto simbolo dei vecchi "signori della guerra".

Cresciuto in questi anni di radicali cambiamenti e, anche grazie al lavoro del padre, di vedute aperte verso il mondo e nelle condizioni di potersi dedicare agli studi, Jigoro Kano iniziò a 14 anni a studiare lingue presso la scuola di Ikue, in cui venne a contatto anche con la cultura e la filosofia anglosassone. Nel 1877 si trasferì all'università di Tokyo, dove proseguì i suoi studi di inglese, scienze politiche ed economiche e scienze estetiche e morali. Motivato in parte dalla sua fragile costituzione e consigliato da un suo professore, il medico tedesco Ernst von Baelz, il quale ebbe un importante ruolo nella considerazione dei possibili aspetti pedagogici delle arti marziali, Jigoro Kano iniziò a frequentare con passione e successo alcuni tra i migliori maestri di ju jitsu. Dopo aver iniziato con il maestro Yagi Teinosuke fece pratica presso il ryu (cioè la scuola) Tenjin-Shinyo con i maestri Fukuda Hachinosuke e Iso Masatomo, e presso il ryu Kito con il maestro Ikubo Tsunetoshi, apprendendo tecniche e stili diversi tra loro, nonché studiando antichi testi di arti marziali. Terminati nel 1881 gli studi universitari iniziò a insegnare lettere presso la prestigiosa scuola di Gakushuin, il "collegio dei nobili" di cui sarebbe poi diventato direttore e che gli avrebbe dato accesso a importanti centri di potere.

Nel 1882 il governo giapponese stabilì alcuni principi secondo cui l'educazione pubblica doveva:

  1. Formare, attraverso l'esercizio fisico, una sana e robusta costituzione
  2. Colmare il cuore degli studenti di amore e lealtà verso la patria
  3. Istruire
  4. Imprimere la forza di carattere necessaria a uomini d'armi

Jigoro Kano decise quindi di iniziare i propri allievi a una nuova forma di lotta, ritenendo che questa li avrebbe temprati sia nel carattere che nel fisico. Ovviamente egli aveva più a cuore la salute che il combattimento, per cui elaborò con grande cura un sistema che in poco tempo si differenziò sempre più dal ju jitsu, punto di partenza a cui aveva tolto le tecniche più pericolose, aggiungendo al tempo stesso numerose regole tese a evitare qualsiasi mossa impropria. Ciò consentì inoltre di incoraggiare una libera pratica (il randori), anche sportivamente competitiva, tra gli allievi. Il tutto doveva essere guidato dai principi di collaborazione, intesa come il reciproco aiutarsi e comprendersi (jita kyoei) e di uso efficiente delle energie fisiche e mentali (seiryoku zen'yo), che si può interpretare anche come "massimo rendimento con minimo sforzo" (l'interpretazione è comunque relativa, considerato che il judo è probabilmente l'arte marziale in grado di sviluppare di più il fisico). Alla pratica del randori restò comunque affiancato lo studio delle forme (i kata), anch'esso ispirato al ju jitsu. Valevano inoltre giuramenti di sangue e tradizionali regole monastiche: agli studenti non era per esempio consentito abbandonare il judo senza un valido motivo, non si poteva disonorare la palestra con condotte meno che appropriate, era vietato insegnare a terzi senza il permesso del maestro o introdurre variazioni di stile dopo aver ricevuto l'autorizzazione all'insegnamento.

Per sottolineare i cambiamenti introdotti Jigoro Kano decise di sostituire nel nome della nuova pratica la parola "jitsu", che esprimeva una ricerca tecnica che portava alla mente l'ideologia feudale, con "do", che metteva in luce un concetto di via, strada o percorso più spirituale e morale, non contaminato da un passato da cui il Giappone si voleva distanziare, ma anzi già associato nel linguaggio comune a concetti come la via della purificazione taoista e buddista. Jigoro Kano battezzò la sua scuola, ospitata inizialmente in una piccola stanza in un tempio buddista, "Kodokan judo". Traducendo ko-do-kan come "luogo dello studio della via" si può quindi leggere il nome della nuova disciplina come "la scuola per lo studio della via gentile".

Il judo è dunque una brillante sintesi di tradizioni millenarie che si incontrarono con il mondo di Jigoro Kano e con i suoi studi, le sue esperienze, e in particolare influenze come il ju jitsu da un lato, e dall'altro la tradizione shintoista (una religione "pacifista") del padre e la cultura umanistica e cosmopolita che lo aveva portato ad apprezzare per esempio la ginnastica tedesca e il movimento di muscular Christianity che si andava diffondendo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nel promuovere instancabilmente il judo, Jigoro Kano ebbe inoltre modo di dimostrare il suo talento di organizzatore, politico e pedagogo.

L'inizio non fu certo facile: da una parte l'opinione pubblica aveva una percezione tendenzialmente negativa delle arti marziali, mentre dall'altra numerose scuole di ju jitsu, già note per l'abitudine di screditarsi a vicenda, si coalizzarono contro Jigoro Kano, che veniva accusato di essere un topo di biblioteca, di rubare tecniche ai "veri maestri", di voler diffondere un sistema per intellettuali e senza valore pratico, o semplicemente di non essere degno di attenzione, mentre gli allievi di altre scuole venivano istigati contro gli allievi del Kodokan. Dopo numerosi episodi che ebbero il dubbio merito di riempire le cronache dei giornali si giunse nel 1886 a un celebre confronto, organizzato dalla polizia metropolitana di Tokyo, e che avrebbe dovuto stabilire se la scuola di judo fosse "migliore" delle scuole di ju jitsu. Anche il governo era intenzionato a selezionare una scuola affinché venisse diffusa in modo unitario nel sistema di educazione nazionale. Le discussioni erano ormai giunte a un punto tale che Jigoro Kano era conscio del fatto che se la sua scuola avesse perso il judo sarebbe stato vietato. Venne dunque scelto in rappresentanza del ju jitsu il ryu Yoshin del maestro Totsuke Hikosuke, il più vocale tra i denigratori di Jigoro Kano. Ogni scuola portò i suoi 15 allievi migliori. Gli atleti del Kodokan di Jigoro Kano dimostrarono in modo inequivocabile la propria supremazia, vincendo 13 incontri, mentre finirono alla pari gli altri due. L'incontro tra Yokoyama Sakujiro del Kodokan e Nakamura Hansuke della scuola Yoshin durò 55 minuti e resta a tutt'oggi il più lungo incontro di judo della storia.

Dopo il trionfo della scuola di Jigoro Kano, i cui allievi abituati a duri allenamenti affermarono l'inscindibilità di teoria e pratica, il judo venne rapidamente adottato nelle scuole, nella polizia e nell'esercito giapponesi, e si diffuse progressivamente all'estero, soprattutto a partire dai primi decenni del novecento. Se gli aspetti tecnici del judo erano già relativamente completi e stabili nel 1887, i principi filosofici continuarono a maturare per ulteriori 20-30 anni, durante i quali Jigoro Kano compì numerosi viaggi in Europa e negli Stati Uniti sia per studiare i diversi sistemi di educazione che come ambasciatore della sua scuola, della sua cultura e della sua gente. Nel 1909 Jigoro Kano venne eletto membro del Comitato Olimpico Internazionale (IOC) in rappresentanza del Giappone. Venne inoltre incaricato della formazione della prima federazione di atletica giapponese, di cui fu il presidente. Fu capo della prima delegazione olimpica del Giappone, alle olimpiadi di Stoccolma del 1912, e delle delegazioni successive fino al 1936. Il 4 maggio 1938, di ritorno da un viaggio al Cairo, ove aveva partecipato a una riunione del Comitato Olimpico in cui il Giappone era stato eletto paese ospitante delle Olimpiadi del 1942, Jigoro Kano spirò di polmonite a bordo del piroscafo Hikawa Maru.

Jigoro Kano non fu solo ispiratore di grandi cambiamenti, ma si dovette anche adattare alle esigenze politiche del proprio paese. Quando per esempio negli anni venti e trenta il nazionalismo giapponese si fece più forte, Jigoro Kano fu costretto a modificare le regole del judo in modo tale che il sistema dei punteggi consentisse una vittoria per un solo punto (ippon), mentre prima erano necessari due punti (su tre possibili). Ciò avrebbe dovuto meglio riflettere lo spirito e lo stile di vita degli antichi samurai, caduti di nuovo nelle grazie dell'opinione pubblica.

I venti del nazionalismo si trasformarono presto in tempesta e venne il tempo di nuovi signori della guerra. Le Olimpiadi del 1942 furono annullate, e passarono più di vent'anni prima che Tokyo potè ospitare questo evento. Era il 1964, e per la prima volta il judo venne ammesso come disciplina olimpica. A partire dal 1972 il judo ebbe un ruolo permanente nelle Olimpiadi. Nel 1980 si tennero i primi campionati mondiali femminili, e nel 1992 anche il judo femminile diventò disciplina olimpica.

Quasi "vittima" del proprio successo in campo sportivo, negli ultimi decenni del ventesimo secolo la pratica del judo iniziò a mostrare, in modo più o meno accentuato a seconda del paese e della scuola di judo, segni di profonde mutazioni. Jigoro Kano aveva per esempio posto grande attenzione e importanza agli aspetti dello spirito di collaborazione dettato dal jita kyoei e al dojo (la palestra) come luogo di meditazione e di comprensione della "via" oltre che unico spazio in cui era onorevole praticare il judo. Molto tempo veniva dedicato a insegnare a cadere. Nella pratica del randori del Kodokan judo chi esegue una proiezione (tori) aiuta il compagno (uke) sostenendo il braccio per controllare, guidandola, la caduta. A tutto ciò non veniva data la stessa importanza nelle scuole di lotta occidentale diffusesi indipendentemente dal judo. Man mano che gli eventi sportivi rendevano più popolare il judo come attività agonistica, gli atleti iniziarono a manifestare uno spirito di competizione più simile a quello noto dai lottatori occidentali, impegnandosi sempre più nel judo non come esercitazione o come filosofia di vita, ma prevalentemente come uno sport teso al conseguimento della medaglia. L'inserimento del judo nelle Olimpiadi, e in particolare le numerose vittorie degli atleti dell'Europa dell'Est, che avevano una propria tradizione di lotta e, in Russia, una propria arte marziale derivata dal judo (il sambo), rappresentarono il giro di boa in questa trasformazione. Ancora una volta fu il sistema dei punteggi a illustrare questo cambiamento. Si iniziò infatti a prediligere la ricerca dei vantaggi minimi, che potevano portare a una vittoria in virtù del fatto che due mezzi punti (waza ari) avevano, nei regolamenti, lo stesso peso di un ippon. Alla ricerca del punto assegnato a una tecnica compiuta con successo nella sua completezza si sostituì in maniera crescente una meno rischiosa ricerca di mezzi punti e altri punti minori. La crescente importanza dei punteggi tendeva inoltre a ridimensionare aspetti più difficili da arbitrare (come le tecniche di lotta a terra) e da penalizzare (come la mancanza di controllo).

In un secolo come il ventesimo, che vide emergere un nuovo medium, la televisione, con la sua tendenza a confezionare anche lo sport a misura dei punteggi dell'audience pubblicitaria, venne ipotizzato che in alcuni paesi il judo stesso si fosse in qualche modo fatto plasmare dalla voglia di spettacolo, ricercando azioni appariscenti e conclusioni veloci che potessero soddisfare un pubblico sempre più desideroso di "azione". Jigoro Kano non aveva posto lo svago di una platea tra i suoi obiettivi, ma non era in fondo accaduto qualcosa di simile più di un secolo prima, quando il ju jitsu si ridusse per qualche decennio ad attività di esibizione da piazza? In ogni caso il judo, stimolando aspetti come il confronto umano, i riflessi, la creatività, la capacità di osservazione e di apprendimento continuava a proporre un valido complemento alla passività e all'isolamento a cui la televisione pareva incoraggiare.

Il nuovo millennio segnò simbolicamente la transizione dal "secolo della televisione" al "secolo di internet". Almeno nei primi anni il ventunesimo secolo fu infatti segnato dalla crescente diffusione di una "grande rete" che pareva manifestare soprattutto nelle sue origini uno spirito di collaborazione e una indipendenza da "qualsiasi influenza esterna, politica, nazionalista, razziale, economica, od organizzata per altri interessi" che sembravano rispecchiare alla lettera le parole di Jigoro Kano. Che in questo mondo diventato più piccolo ci fosse anche qualche contributo del "medium" judo? Jigoro Kano probabilmente ne sarebbe stato molto contento. Certo è che anche la scuola del Kodokan da lui fondata decise di creare un proprio sito internet, e ovviamente non poteva essere da meno il Judo Club Udine, che intese con questo sito tendere una mano a nuove generazioni alla ricerca di una "via" per sé o per i propri figli.

La pratica

Essendo il judo una pratica "moderna", sia dal punto di vista storico che per lo spirito con cui Jigoro Kano la ideò, restano quanto mai attuali gli aspetti già citati nell'introduzione.

L'attività di palestra (dojo) si svolge su un apposito tappeto elastico (tatami) montato su una pedana in legno. La pratica inizia con una fase di riscaldamento (tai-so, o... "ginnastica") e comprende lo studio delle tecniche di caduta (ukemi-waza), delle prese, delle tecniche di proiezione (nage-waza, il gesto chiave con cui si sposta il corpo in modo da destabilizzare il baricentro dell'avversario) e delle tecniche di lotta a terra (ne-waza). Dal punto di vista dell'educazione fisica il judo costituisce una valida attività sia aerobica che anaerobica e promuove lo sviluppo di tutte le capacità motorie.

Per diventare un buon judoka (studente di judo) occorre allenarsi con serietà e costanza, ed è importante mantenere un equilibrio peso-potenza, fondamentalmente in combattimento. La giusta forma fisica degli atleti fu un fattore determinante nalle vittoria del Kodokan di Jigoro Kano sulla scuola di Yoshin, i cui allievi avevano forse un bagaglio che comprendeva una maggiore varietà di tecniche (caratteristica propria del ju jitsu), ma una minore resistenza. In questo contesto il mito dell'omino minuscolo che stende il gigante con una "mossa azzeccata" è da sfatare. Se entrambi conoscono la tecnica, infatti, l'omino minuscolo non ha scampo.

Il judo continua ad adottare l'abito in cotone pesante bianco, il judogi (chiamato anche kimono, o "gi") introdotto da Jigoro Kano. L'unica variazione apportata negli anni consiste nella maggiore lunghezza di maniche e pantalone rispetto a quanto si usava nell'ottocento. La giusta consistenza della giacca è importante per le prese, tant'è che per gli atleti che praticano judo a livello agonistico esistono varianti particolarmente pesanti e rinforzate, con ulteriori cuciture multiple. Si raccomanda di riporre orologi, catene, bracciali e quant'altro possa creare o subire danni nella pratica. L'uso di pantofole dallo spogliatoio al bordo del tatami è ulteriore segno di rispetto verso l'attività e verso i compagni.

Anche le cinture colorate, innovazione di Jigoro Kano, continuano a essere adottate per esprimere il grado di preparazione raggiunto. Si inizia con la cintura bianca, per poi passare dal quinto al primo grado kyu (cintura gialla, arancio, verde, blu e marrone). La cintura nera segna il passaggio al primo grado dan. Il Judo Club Udine organizza esami ogni sei mesi circa per le cinture colorate, mentre i gradi dan vengono assegnati in sedi di esame regionali o nazionali che variano di volta in volta. È generalmente possibile acquisire la cintura nera in 4-5 anni, dopodiché si può ambire ai vari titoli di dan. A volte è "sufficiente" un quarto di secolo di pratica per arrivare al quinto dan.

Il Judo Club Udine, oltre che essere "scuola di campioni", ha una lunga esperienza nell'insegnamento dei più giovani, per cui propone schemi di allenamento diversificati per adulti e per bambini. I giovani atleti vengono stimolati con fasi di gioco che li accostano, divertendoli, al concetto di contatto fisico, di attività di gruppo e di consapevolezza del corpo nello spazio. In questo modo si sviluppano la coscienza delle proprie azioni e l'autocontrollo, aumentando la coordinazione e la destrezza nel gesto tecnico. Se i più timidi e deboli possono trovare tramite la via del judo una nuova sicurezza, anche per i più "forti" cresce il senso di responsabilità legato al fisico proprio e altrui. Avendo il corpo e la mente modo di misurarsi ed esprimersi in un contesto sportivo si riduce anche una eventuale tendenza al confronto che per i bambini non sempre fuori dalla palestra trova un libero spazio di espressione. L'esplorazione di dimensioni normalmente "proibite" (per esempio tramite le cadute), l'accettazione di piccole sconfitte, la collaborazione in particolare verso i compagni di cintura "inferiore", lo studio di reazioni diverse applicate a situazioni nuove sono solo alcuni degli innumerevoli aspetti che fanno del judo una vera e propria scuola di vita.